CELSIUS 451
di: Andrea Balestrero - Antonella Bruzzese - Maddalena De Ferrari
Dal diario di viaggio del dott. G. Celsius
7 maggio 2145
Sono sbarcato da due giorni sull’isola, ma non sono ancora riuscito ad avere contatti con gli abitanti. Li inseguo e li osservo dal mio arrivo, ma essi sembrano semplicemente ignorare la mia presenza continuando a muoversi assorti, borbottando una specie di rosario e fermandosi solo per tracciare strani segni sul terreno sabbioso o su qualunque altra superficie piana. Per il resto il loro comportamento è quello tipico di una civiltà altamente urbanizzata, l’abbigliamento maschile prevede abiti di taglio classico inglese, prevalentemente nelle diverse tonalità fumo di Londra o blu scuro, mentre quello femminile è più vario; gli spostamenti avvengono grazie a pattini “roller-blade” con pneumatici speciali. Tuttavia sull’isola non esistono tracce di edifici.
8 maggio 2145
Oggi finalmente sono riuscito ad attirare su di me l’attenzione di un indigeno, un maschio dell’apparente età di 83 anni, che mi ha parlato in perfetta lingua francese del XX Secolo.
RACCONTO DEL VECCHIO:
“Nessuno di noi parlava. Guardavamo l’orizzonte senza incrociare gli sguardi, decisi nel nostro intento comune a ricordare. Così avevamo stabilito: sarebbe stato l’unico modo per continuare a far vivere le cose che avevamo amato e che per un destino incomprensibile non avremmo rivisto più. Ricordare per sè e per gli altri, stampare nella memoria le immagini, le forme, i colori, le sensazioni, i dettagli piu piccoli. Sulla tavola di legno che ci sorreggeva in attesa di un qualsiasi approdo ciascuno ricostruiva nella propria mente un edificio, perchè la città intera potesse riprendere forma e continuare ad esistere in modo diverso attraverso i nostri racconti e le nostre descrizioni.”
9 maggio 2145
Sulla base di alcune indicazioni frammentarie ricevute dal vecchio mi sono recato nell’interno dell’isola, dove pare vivano i membri più benvoluti della comunità, nella speranza di conoscere alcuni di essi.
Riporto i racconti di alcuni indigeni più disponibili degli altri verso gli stranieri:
RACCONTO DEL PIANOFORTE A CODA:
“L’edificio è diviso in sette appartamenti:
- 5° PIANO int. 7 Fam. SCIACCALUGA
Il pavimento del salone centrale è coperto da 2 tappeti Kilim (160x80 cm; 130x50 cm), un piccolo tappeto da preghiera in varie tonalità del marrone, 2 tappeti iraniani a motivi geometrici blu, da quel poco che avanza si intravvede un parquet in rovere rosso. La parete finestrata centrale è decorata da tende in velluto viola, mai tirate in modo da lasciare libera la vista sul golfo. Nelle giornate più limpide si riesce a vedere la Corsica.
- 4° PIANO int. 6 Fam. CROCE
Dal 20 ottobre al 30 giugno la famiglia è impegnata, almeno una volta alla settimana, ad organizzare feste, parties e ricevimenti. Il salone, illuminato dalle luci della città e, in lontananza, del porto e della Lanterna, riscuote così grande successo da aver permesso:
1) le nozze della figlia maggiore Missi, con l’avvocato più pagato della città;
2) l’assunzione del figlio maschio Pucci, giovane medico in carriera, nella clinica di chirurgia estetica più rinomata della regione;
3) l’invito immancabile di tutta la famiglia, compreso il cane Giorgio, a qualunque vernissage, prima o anteprima di spettacoli teatrali, lirici e cinematografici, varo di navi e ricevimenti dall’Ambasciatore.
- 3° PIANO int. 5 Luca MESCIOULAM
L’inquilino, attore di fama, single, ha allestito di fronte alla vasta parete curva di vetro, un enorme letto (500x410 cm) con copriletto in Guanaco bianco. Nelle notti più movimentate chi passeggia lungo la circonvallazione a mare (distante circa 200 m), alza spesso la testa per capire da dove provengano quei rumori insoliti. La vetrata, illuminata da tenui fiammelle di candela, riflette movimenti inconsulti di due o più ombre cinesi.
- 2° PIANO int. 4 Fam. PITTALUGA
L’intero appartamento è arredato con mobili High Tech: acciaio, vetro, plexiglass. L’assenza totale di tende provoca, nei giorni d’estate, bagliori e riflessi che più volte hanno rischiato di accecare la domestica filippina, impegnata per almeno tre ore al giorno a lucidare tutte quelle superfici riflettenti.
- 2° PIANO int. 3 Sig.na MARAGLIANO
L’anziana inquilina, afflitta da problemi di cataratta, ha fatto disporre mobili e paraventi a protezione della grande finestratura contro cui sbatteva con regolarità. Tra queste barriere e la vetrata infermiere e dame di compagnia trovano rifugio dalle continue ossessioni della vecchia zitella. Alcune di esse fumano una sigaretta guardando le luci lontane del luna park, altre bevono una birra ad occhi chiusi.
- 1° PIANO int. 2 Marcella BACIGALUPO e convivente
Da quest’appartamento la vista non è eccezionale, si vede il mare solo salendo su uno sgabello o se si è molto alti. Per uno strano effetto luminoso, durante i temporali, quando un fulmine si scarica sul mare i vetri delle finestre a Sud si illuminano di luce argentea, gli infissi riflettono un colore bluastro e il pavimento di linoleum grigio assume l’aspetto di una sostanza iridescente e gelatinosa.
- 1° PIANO int. 1 Sig.ra ROSETTA
L’appartamento è occupato dalla portinaia dello stabile che, grata di poter abitare in una casa così bella e signorile, ripaga i condomini cercando di essere il più efficace possibile ossia impicciandosi il più possibile dei loro affari. E’ l’unica inquilina del palazzo trasparente a non guardare mai il mare, la sua posizione preferita è sul marciapiede di fronte all’edificio, con il naso rivolto verso tutta quella bella gente così ben in vista.”[i]
RACCONTO DEL SANGUE DI CRISTO E DI GIUSEPPE D’ARIMATEA:
“Per entrare si deve percorrere l’intera navata dell’antica cattedrale, altissima e profumata d’incenso secondo il volere del vecchio cardinale, si scende una scala lenta, tortuosa e stretta, si svolta e il contrasto è fortissimo: lo spazio è compresso da mozzare il fiato, sembra di poter toccare il soffitto, una tomba di pietra, pochissima luce naturale filtra attraverso i piccoli occhi posti al centro delle volte dei quattro spazi circolari, quattro scrigni a forma di tholos che paiono scavati nella roccia e custodiscono preziose reliquie brillanti d’oro e di cristallo verde smeraldo. Pavimenti, pareti ed arredi sono interamente in pietra scura. La perfezione e la cura con cui le lastre sono tagliate ed accostate, le proporzioni degli spazi e la misura dei dettagli ricorda quella di edifici di altri tempi anche se le forme e la precisione delle geometrie sono quelle dell’architettura del Movimento Moderno. Le dimensioni sono ridottissime, la sala più grande ha un raggio di soli tre metri, quella più piccola di neanche uno e mezzo, i tesori conservati lì dentro sembrano grandissimi, per osservarli da vicino si possono scendere alcuni gradini, ma è necessario prima passare attraverso porte strette e basse, operazione che richiede un certo sforzo psicologico ed accentua la preziosità di quegli oggetti.”[ii]
RACCONTO DELL’ALA D’AEREOPLANO
“- BULLONI: 5213
- TRAVI SECONDARIE: 38
- FERRO: 20000 kg
- RESISTENZA ALLA PRESSIONE DEL VENTO: 750 kN/mq
- PRESSIONE DI OGNI PILASTRO SUL TERRENO: pari ad un tacco a spillo alto 15 cm portato da una donna del peso di 75,4 kg.
- PERMEABILITA’: minima (ricordo che una volta sono rimasto un giorno intero a guardare il passaggio di tutte le nuvole ad ogni ora, ad ogni minuto, riflesso nelle piccole pozze d’acqua che si formano sul terreno)
- TIRANTI: 110
- PILASTRI: 4
- SUPERFICIE COPERTA: 320 mq (ogni mattina andando al mio istituto vedevo dal finestrino dell’autobus quella tettoia enorme, da lontano non sembrava così grande, sembrava solo un’ala d’aereoplano sospesa da terra. Ogni volta che, avvicinandosi l’autobus, riuscivo a vedere i pilastrini sottili sottili e la fitta trama di travetti e tiranti, cominciavo a tremare dalla gioia)
- ALTEZZA ESTRADOSSO: 11 m
- ALTEZZA INTRADOSSO: 9,5 m (alla domenica spesso i miei genitori mi portavano sotto quella tettoia. Era un posto strano, una piattaforma di cemento galleggiante sul mare, isolata dalle auto, dalla gente e dalle case, non c’era mai niente di niente, solo puzza di pesce, pochi gabbiani e qualche rottame, mi piaceva stare solo a camminare sotto l’ala enorme, però ogni tanto vedevo che lì, di sera, arrivava tanta gente e c’erano musica e luci. Forse anche ai miei genitori piaceva stare soli perchè non mi ci hanno mai portato quando c’era gente)
- SALDATURE: 4150 m
- CAMION: 89 in andata e ritorno
- dadi: 5408 (195 sono rotolati in mare durante la costruzione)
- SUPERFICIE ASFALTATA: 2300 mq (all’istituto mi prendevano in giro, dicevano che cominciavo ad assomigliare a quella tettoia che mi piaceva così tanto. Io non capivo, non mi sono mai guardato allo specchio, mi bastava guardare da terra il pavimento infinito di asfalto e scorgere una macchiolina scura e poi, avanzando sui gomiti, piano piano, arrivare a vedere tutta la tettoia nella sua fierezza e poi, sempre sui gomiti, arrivarci sotto e lì urlare felice. Per tutta la vita mi hanno sempre chiamato deficiente e scemo e povero pazzo, ma ora, in quest’isola, io sono un’ala d’aereoplano sospesa da terra e io penso che una cosa così bella non possa essere deficiente o scema o pazza)
- CONTROVENTATURE: 324
- FILETTATURE: 765 km
- MURETTI DI CEMENTO: 312 mq.”[iii]
10 maggio 2145
Oggi ho incontrato una donna che mi è sembrata diversa dagli altri, si è avvicinata comparendo quasi dal nulla, camminando come se scivolasse leggera lungo il selciato. Sorrideva di un sorriso statico, incomprensibile e taceva. Per rompere quel silenzio imbarazzante le ho chiesto come si chiamasse. Quella che segue è la risposta che mi ha dato:
“Perchè domandi? La felicità non deriva dalla conoscenza, la felicità sta nella contemplazione, ma nessuno può insegnartelo, devi impararlo da te. Contemplare. E’ questo il segreto. Io l’ho imparato. Tu sei felice? Si può imparare anche ad essere felici, basta contemplare. Bisogna allontanarsi dal rumore, dimenticare la fretta. Io ho imparato ad essere felice in un posto...”
A questo punto si è interrotta e continuando a guardarmi col suo sorriso un po’ ebete mi ha preso per mano, mi ha condotto in uno spiazzo privo di erba e, accucciatasi, ha cominciato a tracciare segni per terra con un legnetto. I segni raffiguravano una specie di onda sul cui colmo aveva messo un sassolino.
“Ecco, in mezzo alla città rumorosa, caotica e cattiva la collina dove ho imparato ad essere felice. Immersa nel verde fitto degli alberi: cipressi, tigli, bagolari, magnolie, pini. Ciascuno ha foglie di colori diversi, le hai mai guardate? Intendo dire se le hai mai osservate davvero, se le hai mai contemplate. Ma forse la tua strada per la felicità è ancora lunga... In mezzo a questi alberi, a ciascuno dei quali avevo dato un nome, c’era un piccolo edificio nascosto. Bellissimo e silenzioso. Il segreto della felicità è contemplare ogni cosa, anche se esistono luoghi che ti permettono di farlo meglio. Perchè sono magici. Anche quell’edificio è magico, si affaccia sulla città dominandola dall’alto ma senza essere prepotente, ha la possibilità di guardare tutto, ma in realtà è molto discreto. Non ha bisogno di urlare per esserci, la sua presenza silenziosa è molto più potente di tanti altri. Lo puoi guardare da tante parti ed è sempre diverso perchè ha un’anima grande. E’ un edificio felice che ha imparato a contemplare e a farsi contemplare. Anche le persone che lo vanno a trovare lo hanno capito e si avvicinano a lui come ad un saggio capace di insegnare un segreto. Le pietre mute delle pareti, la luce che filtra attraverso le vetrate schermate dal legno, il metallo delle balaustre, i mattoni, tutto ti indica la strada per la felicità...”[iv]
Dopo aver guardato ancora una volta i segnetti per terra e sfiorato con la mano il sassolino la donna se ne è andata senza guardare.
Scendendo dall’altura ho incontrato uno strano personaggio dall’aspetto molto triste con un pigiama a righe verticali. Mi ha mostrato una radura dove con altri vestiti come lui attendeva di essere trasferito in esilio su uno scoglio lontano.
RACCONTO DELL’ESULE:
“Ci portano via perchè siamo brutti, sì brutti brutti. In effetti non siamo esattemente noi ad essere brutti, sì non esattamente. Sono i nostri ricordi. Mi dica, ne abbiamo forse noi la colpa? E poi chi decide cosa è bello e cosa no? Sono forse io? E’ forse lei? Io mi ricordo cose bellissime... prenda ad esempio il mio caso: i miei ricordi non sono forse bellissimi? No, me lo dica se non lo sono. Una valle verdissima coperta di boschi circondata da quartieri residenziali molto tranquilli. Tanti bei terrazzini con ringhierine in ferro che seguono il pendio della collina, con luccicanti collettori dell’aria condizionata e scarichi d’impianti. Scale mobili e immobili. Serre. Pannelli bianchissimi e grigissimi e nerissimi e argentatissimi e arancionissimi e azzurrissimi. Torrette-feritoie per mitragliatrici brandeggiabili a 360°. Ciminiere. Gabbie per uccelli giganteschi. Campi da tennis. Palestre. Spogliatoi prefabbricati. Parcheggi con alberelli piantati di fresco -non è forse bello?- e poi quando piove tante belle cascate impetuose d’acqua e insomma è così.”[v]
11 maggio 2145
Oggi, tornato sulla spiaggia, ho trovato la mia barca perfettamente riparata. Forse ho disturbato per troppo tempo la concentrazione degli abitanti dell’isola e questi vogliono che me ne vada per paura che la mia presenza annebbi i loro ricordi. Sulla barca, assieme ad un’abbondante scorta di viveri e d’acqua ho trovato il seguente biglietto:
“Casello dell’autostrada, 12500 £ il pedaggio pagato ogni fine settimana. Arrivavo con il desiderio di scrolarmi di dosso la frenesia della città in cui lavoravo. Finalmente la mia città, ogni volta dimenticavo come fosse fatta, verticale, densa, intricata e scontrosa. A volte pensavo che quella strada l’avessero costruita apposta per me, ma non per farmi arrivare più velocemente fino alla foce, evitando il traffico, ma per riportarmi alla memoria come in un breve film tutto quello che abbandonavo ogni volta. Imboccavo la Sopraelevata come un amante pentito dopo il tradimento, di fronte ad una donna bellissima ed indolente, incapace di darmi quello che ero costretto a cercare altrove. Arrivavo dall’alto, rimanevo sospeso a mezz’aria e correvo sulla mia automobile insieme ad altre automobili. Correvo e non potevo fare a meno di guardare. E di stupirmi. A destra e a sinistra, sopra e sotto di me immagini di paesaggi diversi. I palazzi alti della speculazione edilizia, cemento e intonaco che si diradavano verso l’alto man mano che salivano sulla collina. Proseguendo le case, i palazzi, le insegne, i balconi, i tetti e le persiane addossati gli uni agli altri, che prima erano distanti, si facevano più vicini. Li potevo quasi toccare, continuando a correre sospeso a mezz’aria. Non era prevista la sosta, nessun rimorso era concesso per il tradimento, ma solo un vago senso di nostalgia e commozione. La strada seguiva l’andamento sinuoso del golfo, spostando il mio campo visivo dalle colline al mare. Sotto di me il porto, un’altra città con le sue gru colorate ed i container che di volta in volta ne cambiavano l’aspetto, ancora oltre l’orizzonte. Arrivavo in fondo, già vicino a casa, stordito, ubriaco, quasi commosso. Come titoli di coda riemergevano i miei pensieri di sempre, quello che mi avrebbe aspettato in quei due giorni, le persone che avrei incontrato, le cose che avrei fatto. Buona fortuna.”[vi]
[iii] Angelo Mangiarotti, Padiglione della Scuola Portuale alla Fiera del Mare, Piazzale J. F. Kennedy (1963)